I club di techno di Berlino sono in crisi

Sono i più famosi del mondo, ma l'enorme aumento dei costi, i tagli alla cultura e il cambiamento del pubblico sono un gran problema

Persone in coda davanti al Berghain, 28 agosto 2016 (REUTERS/ Hannibal Hanschke)
Persone in coda davanti al Berghain, 28 agosto 2016 (REUTERS/ Hannibal Hanschke)
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Ogni anno milioni di persone vanno a Berlino per frequentare i suoi club di musica techno. Secondo la Clubcommission, un
gruppo di interesse che rappresenta oltre cento locali, la cultura del clubbing nella capitale tedesca fa guadagnare circa 1,5 miliardi di euro all’anno, l’8 per cento delle entrate del turismo in città. Sebbene la sua importanza sia riconosciuta, sempre più club stanno chiudendo o rischiano di dover chiudere: c’entrano i tagli degli aiuti economici decisi dal governo locale e il cambiamento dei gusti del pubblico, ma soprattutto il grande aumento dei prezzi degli affitti e del costo della vita, una questione che a Berlino è discussa e sofferta da molto tempo.

Per descrivere questa crisi che ha coinvolto anche locali storici come il Renate o il Watergate esiste perfino un neologismo: “Clubsterben”, la morte dei club.

Nessun’altra città in Germania è così strettamente legata alla cultura dei club come Berlino. Come ha scritto la Frankfurter Allgemeine Zeitung, uno dei quotidiani tedeschi più letti, in città «c’è sempre un locale ancora aperto» e le feste durano un intero weekend, dal venerdì al lunedì. Tutto ebbe inizio nei primi anni Novanta, dopo la caduta del muro di Berlino, quando le fabbriche o i magazzini abbandonati nella parte est della città cominciarono a essere usati in modo clandestino per fare musica e ballare, trasformandosi in bastioni delle sottoculture e spazi rivendicati dalle comunità più marginalizzate, in particolare quella gay.

La techno, un genere di musica dance nato nel decennio precedente a Detroit, diventò in questo contesto la colonna sonora dell’unificazione della città. Nonostante i debiti enormi e l’altissimo tasso di disoccupazione, dal punto di vista culturale Berlino fiorì; pur portandosi dietro lo stigma del rumore, delle droghe illegali e degli eccessi, la cultura dei club berlinese cominciò ad attirare gli artisti e i dj internazionali più famosi, molti dei quali italiani, fino a diventare un brand in tutto il mondo.

Come ha ricordato la scrittrice Fatma Aydemir in un recente articolo sul Guardian, nel 2003 l’allora sindaco Klaus Wowereit la definì una città «povera ma sexy». Quei tempi però «sono finiti», scrive Aydemir, e i tagli dei fondi alla cultura approvati dal governo locale alla fine del 2024 rischiano di far chiudere moltissimi club. A metterli in crisi però non sono tanto gli effetti di questi tagli, che si vedranno tra qualche tempo: è stata più che altro «l’esplosione del costo degli affitti», un problema che nelle parole dello scrittore Vincenzo Latronico, che a Berlino ha vissuto a lungo, «non ha fatto che aggravarsi».

Persone che ballano all’E-Werk nel 1994 (Annette Hauschild/ OSTKREUZ via Contrasto)

Fino a una quindicina d’anni fa a Berlino era facile vivere facendo lavoretti: la vita costava poco e i sussidi diretti o indiretti erano sufficienti per mantenersi, racconta Latronico, che ne ha parlato ampiamente nel libro La chiave di Berlino. Questo ha contribuito ad attirare sempre più persone, ma con l’aumento degli abitanti sono arrivate anche la gentrificazione e la speculazione edilizia. Nonostante le ampie mobilitazioni i tentativi di contenere i prezzi degli affitti sono falliti, con conseguenze su molti dei locali al centro della vita notturna della città, che pagavano affitti bassissimi.

In dieci anni il numero delle discoteche di Berlino si è quasi dimezzato. I club che hanno chiuso tra il 2010 e il 2020 sono stati un centinaio. Il Mensch Meier ha chiuso alla fine del 2023 dopo dieci anni di attività, mentre l’ultima serata del Watergate, che era aperto dal 2002, è stata quella del capodanno scorso. Alla fine del 2025 chiuderà anche il Renate, un altro posto storico.

I gestori del Watergate hanno spiegato che «era l’unica decisione sensata e ragionevole con la pressione legata all’aumento dei costi e ai cambiamenti nella cultura dei club». Quelli del Renate hanno citato a loro volta l’aumento degli affitti e i progetti di riqualificazione voluti dai proprietari dell’immobile che peraltro, come molti altri, si trova in un’area minacciata dall’ampliamento di un’autostrada. Ma nel tempo hanno avuto problemi simili e si sono dovuti spostare altri club noti come il Tresor, il KitKat e il Griessmühle. Per tirare avanti l’://about blank ha chiesto donazioni a chi lo frequenta.

Secondo un recente sondaggio della Clubcommission, più della metà dei locali intervistati ha riscontrato un calo negli accessi rispetto al 2023, e a causa delle difficoltà economiche il 46 per cento di loro sta valutando la possibilità di chiudere entro la fine del 2025. Un problema grosso è l’aumento dei prezzi dell’energia, ma anche quello delle tariffe GEMA (più o meno la nostra SIAE), la burocrazia e le normative obsolete, ha detto Aurélie Bergen dell’associazione federale delle discoteche e dei locali da ballo tedeschi.

Uno di quelli che non sembrano essere in crisi è invece il Berghain, probabilmente il club più famoso e leggendario al mondo, noto per la durissima selezione all’ingresso. Il Berghain è però uno dei pochissimi a non pagare un affitto: si trova infatti in un’ex centrale termica che fu acquistata per la cifra stimata di 1,5 milioni di euro prima dell’aumento sfrenato dei prezzi.

La sede del Watergate, fotografata nel marzo 2020 (AP Photo/ Markus Schreiber)

La Germania ha riconosciuto da tempo l’importanza dei propri club. Durante la pandemia da coronavirus il parlamento tedesco li ha riclassificati come istituzioni culturali, al pari di teatri e musei, di modo che avessero accesso ai fondi previsti per gestire la crisi. All’inizio del 2024 la techno berlinese è inoltre stata inserita nella lista dei patrimoni culturali immateriali tedeschi. Eppure i problemi di questi club sono largamente sottovalutati, soprattutto se confrontati con il loro peso a livello culturale ed economico, ha notato sempre la Frankfurter Allgemeine Zeitung.

Il budget destinato all’arte e alla cultura per il 2025 e il 2026 a Berlino è stato ridotto del 12 per cento, pari a 130 milioni di euro. Il sindaco Kai Wegner, di centrodestra, ha difeso i tagli, dicendo che comunque la città continuerà ad avere un «budget record» di 40 miliardi: in ogni caso bisogna tenere conto che tre quarti dei fondi destinati alla cultura finiscono a grandi istituzioni consolidate, e che il restante quarto deve essere spartito tra centinaia di istituzioni più piccole, tra cui i club. Per il dj Luigi Di Venere, che vive e lavora a Berlino e ne ha parlato nel podcast Cosmo Italiano, con meno fondi diminuirà anche l’influenza artistica della città, con ripercussioni sia sulla sua immagine che sul suo «vibe».

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A detta di Latronico, «i luoghi sono stati invasi sempre di più da gente che cerca un certo brand: se a Bologna è la mortadella e a Genova il pesto, a Berlino sono i club della techno». Al Berghain adesso ci sono regolarmente code di quattro, cinque, sei ore, una cosa che fino a qualche anno fa si vedeva di rado.

Lo ha notato anche Tonia Mastrobuoni, corrispondente di Repubblica da Berlino, che sempre in Cosmo Italiano dice di ricordarsi le «feste assurde negli edifici abbandonati», con una «cupezza tipicamente berlinese e un’atmosfera underground». «Adesso mi sembra tutto un po’ posticcio», ha detto a proposito del turismo legato alla cultura dei club. Anche per Di Venere la scena culturale è cambiata: è «meno alla mano, c’è meno senso di frivolezza».

Persone in coda per entrare al Berghain, il 24 ottobre 2021 (Kerem Uzel/ laif via Contrasto)

Jens Schwan, uno dei fondatori della manifestazione techno Zug der Liebe (treno dell’amore), ha detto a Bloomberg che «i giorni del boom sono finiti. E dopo il coronavirus molti club hanno perso l’occasione di reinventarsi».

Se da un lato l’interesse di chi viene da fuori sembra restare alto, dall’altro c’è il fatto che il pubblico del posto è cambiato molto. Anche se ovviamente vanno a ballare trentenni, quarantenni e oltre, in generale il target dei club techno è sempre stato quello delle persone tra i 18 e i 25 anni. Secondo gli addetti ai lavori però adesso la cosiddetta Gen Z ha abitudini diverse e spesso preferisce organizzare feste a casa o fare altro; per molti inoltre i 20 euro o più dell’ingresso in discoteca sono troppi, senza contare che è aumentato anche il costo dei drink. Club come il Berghain infine sono al centro di una campagna di boicottaggio perché non si sono schierati sulla guerra in corso a Gaza.

Secondo Ulrich Wombacher, uno dei fondatori del Watergate, dopo il coronavirus la scena non si è più ripresa come prima, e la musica viene consumata in modo diverso, ma i sussidi alla cultura non sono una soluzione alla crisi. Per cercare di affrontarla c’è chi sta fondando delle cooperative per cercare di assicurarsi gli spazi e fare in modo che siano gestiti in maniera indipendente.

C’è anche chi cerca di sottrarsi a questi meccanismi esibendosi in club più piccoli oppure organizzando eventi che mettono insieme generi musicali e culture diverse, racconta Latronico. Uno di questi è Mordorkore, che è nato nel 2019 dalla fusione di due serate e mette insieme musica techno e dance sperimentale e l’ambientazione tipica dei giochi di ruolo. Naoki Stuhlman, una delle creatrici, ha raccontato a Dazed che l’obiettivo è «quello di offrire un’alternativa, qualcosa di autenticamente creativo e musicalmente audace, che al tempo stesso sia accessibile e includa divertimento e frivolezza estrema».

L’ingresso del club berlinese Renate nel marzo 2020 (AP Photo/ Markus Schreiber)

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