Il posto in cui dorme Giorgia Meloni durante il suo viaggio a Washington

È la Blair House, che il presidente statunitense concede agli ospiti più cari: ha una lunga storia, piena di aneddoti e, secondo qualcuno, di fantasmi

L'ingresso della Blair House, a Washington, di fronte alla Casa Bianca (Carol M. Highsmith/Getty Images)
L'ingresso della Blair House, a Washington, di fronte alla Casa Bianca (Carol M. Highsmith/Getty Images)
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Nelle due notti a Washington, durante il suo viaggio negli Stati Uniti per incontrare Donald Trump, Giorgia Meloni alloggerà alla Blair House, la prestigiosa residenza che i presidenti in carica mettono spesso a disposizione degli ospiti più importanti, o di quelli a cui vogliono offrire un omaggio formale di un certo livello. La Blair House è proprio di fronte alla Casa Bianca, al 1651 di Pennsylvania Avenue: bisogna attraversare quella strada – qualche decina di metri che comunque il protocollo impone quasi sempre di percorrere in corteo con le auto e la scorta – e ci si trova di fronte ai cancelli d’accesso della residenza presidenziale, sul lato nord.

Quando il presidente statunitense tramite il suo cerimoniale offre la Blair House a un suo ospite, questo accetta sempre, per prassi, anche se non di rado la cosa genera complicazioni logistiche: talvolta i collaboratori del presidente in visita devono essere sistemati in alberghi vicini, per ragioni di capienza ma soprattutto di sicurezza. Ma il prestigio vale più dei disagi, comunque trascurabili: alloggiare alla Blair House è sempre un grande onore.

Donald Trump lo ha concesso un po’ a tutti gli ospiti fin qui ricevuti durante il suo secondo mandato: al presidente francese Emmanuel Macron, al primo ministro britannico Keir Starmer, a quello israeliano Benjamin Netanyahu e a quello irlandese Micheál Martin.

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Nei suoi precedenti viaggi a Washington, durante la presidenza di Joe Biden, Meloni aveva pernottato al St. Regis, un hotel di lusso nel centro della città. Prima di lei l’ultimo presidente del Consiglio italiano ad aver alloggiato alla Blair House fu Matteo Renzi, che ci stette un paio di volte sempre ospitato da Barack Obama, col quale aveva un rapporto piuttosto privilegiato. Tra le cose che Renzi ricorda di quel posto c’è la lettura del grande quaderno degli ospiti: un librone azzurro dove chi passa lascia un ricordo e una firma, e nel quale sono contenuti anche il messaggio e l’autografo di Alcide De Gasperi, che invece era stato il primo italiano a pernottare alla Blair House nel gennaio del 1947.

Già da cinque anni, all’epoca, la Blair House era la Guest House presidenziale: il primo a esservi ospitato, nel maggio del 1942, era stato il presidente peruviano Manuel Prado.

La Blair House però esiste da molto prima: per un po’ di tempo neppure si chiamava così. Venne fatta costruire, in un sobrio stile neocoloniale, nel 1824 dal dottor Joseph Lovell, il surgeon general, cioè il capo del dipartimento medico, dell’esercito americano. Solo tredici anni dopo fu acquistata dalla famiglia dei Blair, e di lì prese il nome con cui è diventata nota.

Ad acquistarla, in particolare, fu Francis Preston Blair, un uomo di legge e influente giornalista del Kentucky, che nel 1829 sostenne in modo molto efficace la campagna elettorale del presidente Andrew Jackson, il settimo presidente statunitense e quello a cui peraltro Trump dice di ispirarsi maggiormente. Blair fu da quest’ultimo incaricato, dopo la vittoria, di dirigere il quotidiano Globe facendone un organo di sostegno all’amministrazione. Con la moglie Eliza e i loro tre figli si trasferì a Washington, dove divenne presto uno dei più ascoltati consiglieri di Jackson prima, e di suoi vari successori poi, come Martin Van Buren o Abraham Lincoln. La sua famiglia divenne così molto influente nel mondo politico di Washington, e questo contribuì a rendere molto prestigiosa la loro residenza.

Per oltre un secolo, la Blair House rimase questo: una celebre dimora privata di una potente famiglia. Poi a Washington arrivò Winston Churchill.

Franklin D. Roosevelt e Winston Churchill discutono in uno dei loro ultimi incontri, nel gennaio del 1944, a Casablanca, in Marocco (Hulton-Deutsch/Corbis via Getty Images)

Il primo ministro britannico fece numerosi viaggi durante i primi anni della Seconda guerra mondiale, fondamentalmente per garantirsi il sostegno crescente del presidente Franklin Delano Roosevelt nella guerra in corso in Europa. Allora la prassi prevedeva che i capi di stato o di governo in visita pernottassero la prima notte alla Casa Bianca, per poi trascorrere il resto della loro permanenza in uno degli hotel lì vicino. Una volta Eleanor Roosevelt (moglie di Franklin Delano) lo incrociò alle 3 di notte mentre, vestito di tutto punto e col sigaro in bocca, si dirigeva verso gli appartamenti privati del marito per completare la discussione lasciata in sospeso dalla sera prima. La first lady lo convinse ad attendere almeno fino all’ora di colazione, ma dopo quell’episodio si decise di trovare una soluzione alternativa per accogliere gli ospiti.

Nel gennaio del 1942 Stanley Woodward, il capo del cerimoniale (chief of protocol) del presidente, suggerì di affittare la casa dei Blair. Pochi mesi dopo il dipartimento di Stato decise di acquistarla. Oltre ai mobili, le porcellane e l’argenteria, i Blair lasciarono in eredità al presidente americano anche Victoria Geaney, la persona che si occupava delle faccende domestiche e in servizio da oltre vent’anni, che fu nominata formalmente housekeeper (cioè governante) di Stato. Fu lei a gestire la casa per un po’, impegnandosi peraltro a offrire agli ospiti cibo di loro gradimento.

Quando De Gasperi arrivò a Washington nel 1947, per esempio, si vociferò che l’allora ambasciatore italiano negli Stati Uniti, il potente Alberto Tarchiani, avesse raccomandato di acquistare dei «veri spaghetti» per la delegazione italiana. I giornalisti statunitensi ironizzarono un po’, sulla cosa, all’arrivo del leader democristiano: ma quando ne chiesero conto a Geaney, lei rispose che non tutti gli italiani volevano mangiare cibi tipici, all’estero, e che quindi avrebbe provveduto a cucinare per De Gasperi e i suoi collaboratori al seguito ciò che loro avrebbero richiesto.

Lo studio di Truman, nella Blair House (Getty Images)

La Blair House assunse ancora maggior prestigio quando, nel 1948, Harry Truman decise di trasferirvisi, con la famiglia e lo staff, durante gli imponenti lavori di ristrutturazione della Casa Bianca. Vi rimase per circa 4 anni, e il primo novembre del 1950 fu proprio sulla scalinata d’ingresso di quella residenza che si consumò una delle più celebri sparatorie della storia statunitense: due nazionalisti portoricani, Oscar Collazo e Griselio Torresola, cercarono di entrare in casa sparando furiosamente, con l’obiettivo di assassinare il presidente. Torresola venne ucciso dagli agenti di guardia, Collazo fu ferito. L’episodio contribuì a creare delle strane leggende intorno alla Blair House: su fantasmi e spiriti maligni che si aggirerebbero nottetempo tra i corridoi della casa.

Griselio Torresola, uno dei due attentatori, ferito dopo la sparatoria di fronte alla Blair House il primo novembre 1950: Harry Truman assistette alla sparatoria dalla finestra (Getty Images)

Nei decenni che seguirono la Blair House ospitò decine di capi di stato e di governo: da Charles de Gaulle alla regina Elisabetta, da Golda Meir a Lech Walesa, da Margaret Thatcher a Vladimir Putin, da Angela Merkel a Nelson Mandela, da Mohammad Reza Pahlavi a Xi Jinping, e molti altri. In giro per la casa ci sono cimeli, regali e souvenir lasciati dai leader che vi hanno pernottato. In uno scaffale della biblioteca, tra l’altro, c’è anche un foglio firmato dall’ex presidente del Consiglio Giulio Andreotti: «In occasione del mio quattordicesimo viaggio negli Stati Uniti», c’è scritto.

Un aneddoto poco raccontato sulla Blair House riguarda Boris Eltsin, il presidente russo che nell’ottobre del 1995 fu ricevuto da Bill Clinton. Quella visita rimase celebre, tra l’altro, per un attacco di ridarella che colse lo stesso presidente statunitense mentre Eltsin, in conferenza stampa a New York, diceva ai giornalisti locali che erano «un disastro». Meno risaputo è invece quel che successe a Washington. Noto per essere piuttosto avvezzo all’abuso di alcolici e refrattario al galateo diplomatico, avvertendo una certa fame, Eltsin pensò di uscire dalla Blair House seminudo e piuttosto alterato: gli agenti del Secret Service che gestiscono la sicurezza della residenza lo fermarono mentre vagava mezzo barcollante su Pennsylvania Avenue tentando di fermare un taxi. Eltsin spiegò che stava cercando un posto dove poter mangiare una pizza.

In tanti, comunque, hanno raccontato l’emozione di abitare per qualche ora, qualche giorno, in un posto così prestigioso, prendere il tè nella Lincoln Room (la stanza in cui Lincoln si recava per conversare con il figlio di Francis Preston Blair, Montgomery, da lui molto stimato e poi incluso nel suo governo), tenere riunioni in quello che fu lo studio presidenziale di Truman, dormire nelle camere dove hanno riposato Ronald Reagan o John Fitzgerald Kennedy. La Blair House non è stata usata, infatti, solo per ospitare leader stranieri: anche molti presidenti statunitensi vi hanno alloggiato in occasioni particolari, prima o dopo il loro mandato: da presidenti eletti, alla vigilia delle cerimonie del loro insediamento, per esempio, o da ex presidenti durante feste o ricevimenti di stato a cui erano invitati.

Oggi la Blair House, più volte ristrutturata e ammodernata ma sempre tenendo fede allo stile originario, è un complesso che ha via via inglobato altre tre residenze (tra cui la Lee House, fatta costruire proprio da Francis Preston Blair per sua figlia Elizabeth e suo marito, l’ammiraglio Samuel Phillips Lee). Ci lavora stabilmente uno staff di 18 persone, che può però diventare più numeroso alla bisogna: e prestare servizio lì è una delle occupazioni più prestigiose per chi fa parte del cerimoniale della Casa Bianca. Ha al suo interno più di 120 stanze, tra cui 14 camere da letto riservate agli ospiti, un salone di bellezza, una palestra, tre cortili interni e uno chef sempre a disposizione.

Una delle stanze da letto della Blair House (Getty Images)