• Mondo
  • Lunedì 12 maggio 2025

Netanyahu non ha nessuno che lo freni

Le operazioni a Gaza e in Cisgiordania sono sempre più aggressive e violente, l'opposizione è debole e anche Trump sta perdendo interesse per i negoziati

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu alla cerimonia per il ricordo dell'Olocausto, il 23 aprile 2025 (AP Photo/Leo Correa)
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu alla cerimonia per il ricordo dell'Olocausto, il 23 aprile 2025 (AP Photo/Leo Correa)
Caricamento player

Negli ultimi due mesi il governo israeliano è diventato ancora più aggressivo anche per l’influenza degli alleati estremisti del primo ministro Benjamin Netanyahu e per la sostanziale debolezza dell’opposizione. Le operazioni dell’esercito nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania si sono allargate, con conseguenze disastrose sulla popolazione palestinese. E l’unico leader considerato capace di esercitare una qualche influenza sulle sue decisioni, il presidente statunitense Donald Trump, sta perdendo interesse per la possibilità di mettere fine alla guerra grazie a un accordo diplomatico.

A metà marzo Netanyahu ha interrotto il cessate il fuoco che aveva concordato con Hamas. L’esercito israeliano ha ripreso a bombardare e occupare la Striscia e da più di due mesi sta bloccando l’entrata di qualsiasi rifornimento di cibo e acqua. Pochi giorni fa il governo ha presentato un piano che prevede l’occupazione a lungo termine di tutta la Striscia di Gaza. Il piano è stato approvato dal gabinetto di sicurezza israeliano composto da alcuni ministri che condividono le posizioni di Netanyahu, o ne hanno di ancora più radicali: nessuno di loro è un freno alle sue intenzioni.

Il piano prevede anche che Israele prenda il controllo delle consegne di medicinali, cibo e aiuti umanitari nella Striscia, e che la popolazione palestinese sia costretta per l’ennesima volta a spostarsi nella parte meridionale della Striscia o ad andarsene del tutto. Il ministro delle Finanze israeliano, Bezalel Smotrich, un sostenitore dell’occupazione israeliana dei territori palestinesi (lui stesso vive in una colonia in Cisgiordania), ha detto che «Gaza sarà completamente distrutta» e che i palestinesi dovrebbero «andarsene in altri paesi».

Palestinesi sfollati in una scuola diventata rifugio nella Striscia di Gaza, a marzo del 2025 (AP Photo/Jehad Alshrafi)

I governi di alcuni paesi vicini, come l’Egitto e la Giordania, hanno già detto di non essere disposti ad accogliere centinaia di migliaia di sfollati, ma l’ipotesi che il piano possa essere realizzato sta facendo parlare apertamente del rischio di pulizia etnica nella Striscia e di una seconda Nakba, (“catastrofe” in arabo), il termine usato per riferirsi a quello che successe prima e durante la guerra che Israele combatté nel 1948 contro diversi paesi arabi e che obbligò circa 700mila palestinesi a lasciare la proprie case.

– Leggi anche: Il piano di Israele per occupare tutta la Striscia di Gaza

Israele sta espandendo anche le sue operazioni militari in Cisgiordania, un territorio che secondo la comunità internazionale appartiene ai palestinesi ma che da decenni Israele occupa illegalmente con colonie e checkpoint. Queste operazioni prevedono spesso violenze e arresti arbitrari e la distruzione di decine di case. A partire da gennaio le truppe israeliane si sono piazzate in modo permanente in alcune aree dentro due città palestinesi, Jenin e Tulkarem, dove prima effettuavano soltanto raid di pochi giorni. Circa 40mila persone palestinesi hanno dovuto lasciare le loro case.

Alcuni membri del governo di Netanyahu incoraggiano l’occupazione della Cisgiordania: oltre a Smotrich anche il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir, che sostiene l’annessione totale e permanente della Cisgiordania al territorio israeliano.

Abitanti della Cisgiordania se ne vanno dal campo profughi di Nur Sham, prima che l’esercito israeliano inizi a demolire le case, 7 maggio del 2025 (AP Photo/Majdi Mohammed)

Netanyahu sta cercando di sopprimere l’opposizione politica e istituzionale in modo da poter agire senza troppe limitazioni. Il caso recente di cui si è parlato di più è stato il licenziamento di Ronen Bar, il direttore dello Shin Bet, il servizio segreto interno israeliano. Da tempo lo Shin Bet stava lavorando su alcune inchieste che avevano coinvolto Netanyahu e i suoi più stretti collaboratori, che riguardano sia gli attacchi di Hamas del 7 ottobre sia i guadagni personali che il primo ministro avrebbe ottenuto da rapporti con il governo del Qatar. Netanyahu è stato accusato di voler licenziare Bar (che si dimetterà a giugno) per eliminare un avversario politico, uno di quelli che gli stavano creando maggiori problemi.

– Leggi anche: Dentro allo scontro tra Benjamin Netanyahu e lo Shin Bet

Fino a qualche mese fa l’amministrazione statunitense di Joe Biden aveva tentato di controllare le decisioni di Netanyahu, seppure in modo debole e ritenuto da molti fallimentare, e ha chiesto a Israele di interrompere le operazioni militari e porre fine alla guerra. Con l’arrivo di Trump anche questo freno è saltato. Lo si è visto a fine febbraio, quando Trump ha detto che gli Stati Uniti dovrebbero prendere il controllo della Striscia, espellere i milioni di palestinesi che ci vivono e trasformarla in una sorta di resort turistico. L’idea, enormemente problematica da ogni punto di vista, era stata criticata da tutti tranne che da Netanyahu.

Di recente Trump ha mostrato di avere perso interesse per la situazione nella Striscia. La sua amministrazione è impegnata in molte altre questioni, tra cui i negoziati (finora inconcludenti) per mettere fine alla guerra in Ucraina e quelli per raggiungere un accordo sul nucleare iraniano. Trump parla anche con insistenza della necessità per gli Stati Uniti di annettere in qualche modo la Groenlandia e il Canada, e sta trattando con vari paesi per trovare accordi sui dazi commerciali.

Benjamin Netanyahu e Donald Trump alla Casa Bianca, a febbraio del 2025 (AP Photo/Evan Vucci)

Una parte della popolazione civile israeliana e soprattutto le famiglie degli ostaggi nella Striscia continuano a criticare Netanyahu e da mesi sostengono che il governo stia anteponendo i suoi interessi al rilascio degli israeliani sequestrati. Inoltre a metà aprile centinaia di riservisti, veterani ed ex membri delle agenzie di intelligence si erano uniti alle proteste con varie lettere pubbliche e manifestazioni di dissenso.

Secondo Gideon Levy, giornalista di Haaretz (un quotidiano israeliano di sinistra), le proteste per ora non sono sufficienti a influenzare le decisioni del governo di Netanyahu.

Una protesta a Tel Aviv il 3 maggio del 2025 per chiedere la fine della guerra nella Striscia di Gaza e il rilascio di tutti gli ostaggi (AP Photo/Ariel Schalit)