Gli algoritmi che fanno il lavoro dei trader di borsa

Buona parte delle operazioni finanziarie oggi viene direttamente compiuta da sistemi informatici, ma gli umani sono ancora imprescindibili

Una postazione della borsa francese, a marzo del 2025 (AP Photo/Thomas Padilla)
Una postazione della borsa francese, a marzo del 2025 (AP Photo/Thomas Padilla)
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Quando si legge qualcosa sull’andamento delle borse, forse ci si immagina luoghi chiassosi, popolati da trader spregiudicati che comprano e vendono titoli sulla base delle loro intuizioni, muovendo nel caos enormi somme di denaro come si vede spesso nei film e nelle immagini che accompagnano gli articoli sulle giornate particolarmente complicate in borsa. Ecco, non è così, e non solo perché oggi le azioni si possono comprare e vendere anche con lo smartphone: oggi buona parte delle operazioni finanziarie viene direttamente compiuta da sistemi informatici. Ma gli esseri umani contano ancora parecchio.

In gergo si chiama algotrading o trading algoritmico, e con l’evoluzione della tecnologia e dell’intelligenza artificiale sta diventando sempre più sofisticato: a volte serve ad aiutare i trader a capire cosa fare in un certo momento – se comprare, vendere o star fermi – mentre altre volte compie direttamente le operazioni sulla base di indicazioni e criteri forniti dai trader stessi. Non è una novità. Questi strumenti sono stati adottati negli ultimi vent’anni da grandi banche e fondi perché limitano gli errori umani e i costi: per un’azienda può essere più conveniente avere cinque trader guidati dall’algoritmo che dieci senza algoritmo.

Questi algoritmi sono in sostanza strumenti informatici che processano tutte le informazioni in grado di influenzare i mercati finanziari: notizie politiche, dati economici, eventi catastrofici, pubblicazioni di bilanci e molti altri. Lo fanno in modo molto più completo e veloce di un essere umano, arrivando in breve tempo a decisioni di investimento considerate ottimali date le informazioni disponibili e le istruzioni date in origine.

Non esiste un solo tipo di algoritmo. Alcuni servono per il trading speculativo, cioè per eseguire moltissime operazioni nel tentativo di ottenere piccoli guadagni sistematici giorno dopo giorno. Altri aiutano gli investitori a costruire e mantenere un portafoglio diversificato e bilanciato.

– Leggi anche: Un glossario semplice per capire questo caos dei dazi e delle borse

Facciamo un esempio. Immaginiamo che un fondo di investimento si sia dato un obiettivo di guadagno minimo del 5 per cento e di perdita massima pure del 5 per cento, e che abbia scelto di diversificare i propri investimenti sulla base della loro origine geografica (ipotesi: 30 per cento in Europa, 30 per cento in Asia e 40 per cento negli Stati Uniti) e della loro natura (50 per cento azioni e 50 per cento obbligazioni). Il fondo può aver fissato anche parametri più specifici su singoli titoli, come il prezzo medio in un lasso di tempo o la volatilità dei loro prezzi.

Questa appena descritta è una semplice strategia di investimento. Con l’aiuto dell’algoritmo i trader possono eseguirla in modo molto più facile e veloce, senza ricalibrare tutti i portafogli per ogni singolo movimento: l’algoritmo fornisce già il pacchetto completo di cose da fare per ogni evento a cui devono rispondere. Fin qui può dunque sembrare che l’algoritmo non solo faciliti ma sostituisca il lavoro del trader. Non è – ancora – così.

Seguire o non seguire l’algoritmo? Forse se lo stava chiedendo questo trader della borsa di New York, a inizio maggio (AP Photo/Richard Drew)

Davide Biocchi, trader e divulgatore, spiega che gli algoritmi seguono istruzioni pensate e codificate da persone, e anche quando operano in autonomia «c’è sempre un umano, un trader o un ingegnere finanziario, che controlla che tutto vada secondo le previsioni» ed è pronto a correggere eventuali anomalie. Fra i trader le chiamano «macchinette», che comprano e vendono da sole sotto supervisione umana.

La narrazione superficiale secondo cui questi sistemi informatici controllano il mercato, e siano i concreti artefici dei grandi rialzi e dei grandi ribassi, non è così fondata. «Il sistema propone ma ci deve essere sempre un umano che decide, per tutelare il cliente ma soprattutto il mercato stesso», dice Chiara Frigerio, segretaria generale del Cetif, centro di ricerca dell’Università Cattolica che si occupa di organizzazione e innovazione del sistema finanziario. E questo per tre motivi: uno organizzativo, uno legale e uno tecnico.

La questione organizzativa è banale: la responsabilità ultima di come va un investimento non può essere di un computer ma del trader, del responsabile della sua divisione e da ultimo della società stessa che deve rispondere ai clienti e agli azionisti.

C’è poi tutto il tema legale: le società che usano gli algoritmi hanno l’obbligo di comunicare che li usano alla Consob – l’autorità che vigila sul regolare funzionamento dei mercati finanziari – e sono sottoposte alle stesse regole di quelle che non lo fanno. Non esistono obblighi o divieti di comportamento ulteriori, ma le norme stabiliscono inequivocabilmente che la responsabilità dell’investimento e del suo controllo è delle persone. Infine c’è la questione tecnica, forse la più controintuitiva e interessante.

(AP Photo/Richard Drew)

Si può essere portati a pensare che gli algoritmi siano utili ai trader soprattutto nelle situazioni di forte stress, come in quei momenti di grande volatilità e incertezza in cui nessuno capisce niente: è tutto il contrario. Frigerio sostiene che «proprio perché l’algoritmo è poco emozionale, non è in grado di gestire un contesto di incertezza molto elevata. Quando ci sono oscillazioni ampie e non prevedibili, l’algoritmo non è in grado di decidere perché non ritrova la stessa dinamica nella sua esperienza».

Gli algoritmi imparano infatti dal passato, e vanno in difficoltà quando non riescono a ritrovare dinamiche già conosciute. Non sanno mettersi nei panni delle persone, non hanno capacità di innovazione né di interpretazione di fenomeni nuovi: in caso di grandi oscillazioni la risposta più frequente che suggeriscono è stare fermi, cosa che un trader che deve contenere le perdite, per esempio, non può fare. «Nell’incertezza vince ancora l’essere umano», dice Frigerio. Lo stesso Biocchi racconta che è proprio in questi momenti che i trader spengono gli algoritmi, perché inadeguati a gestire simili situazioni.

Nell’ordinaria amministrazione invece i sistemi danno le soluzioni ottimali, sia per l’appropriatezza delle scelte che per la velocità di negoziazione, e secondo Biocchi diventano anche una grande guida per il mercato: tutti sanno che i grandi investitori li usano e quindi possono osservare le loro mosse e capire cosa suggeriscono di fare gli algoritmi in quel momento. Al contrario, il fatto che tutti sappiano che durante le fasi più confuse il loro contributo è minore diventa un ulteriore elemento di incertezza.

Da qualche anno gli algoritmi hanno iniziato a raccogliere anche l’interesse dei piccoli investitori, seppur in misura ancora sperimentale.

Gli algoritmi guidano per esempio quelli che vengono chiamati in gergo i “robo advisor”, sistemi di consulenza automatizzata usati in piattaforme di investimento online. Significa che l’algoritmo prova a fare il lavoro dei consulenti finanziari, che tramite colloqui con l’investitore capiscono quanti soldi vuole investire, quanto vuole guadagnare e quanto è disposto a rischiare di perdere: fanno cioè quello che si chiama il “profilo di rischio” del cliente. L’algoritmo fa la stessa cosa e costa molto meno del consulente; lo svantaggio è la perdita del rapporto umano, che per gli investitori meno avvezzi può essere molto importante.

«Strumenti di questo genere», dice Biocchi, «possono essere un aiuto e possono sbagliarsi esattamente come i consulenti», quindi «più un investitore vuole essere autonomo e più deve prepararsi ed essere consapevole».

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