Ora che lo sapete, vedrete questa pianta ovunque
L'ailanto è una specie invasiva diffusissima di cui è molto difficile liberarsi: o forse proprio per questo lo sapevate già

Se non avete mai provato a liberarvi di un ailanto cresciuto nel vostro giardino, o in un vaso del vostro balcone, forse non sapete riconoscere questa pianta. Ma una volta che avrete imparato a riconoscerla, comincerete a vederla un po’ ovunque. L’ailanto infatti è una specie aliena e invasiva tra le più diffuse in Italia e in gran parte del mondo, una di quelle per cui l’Unione Europea chiede di contenere l’espansione per via dei danni che causano. Cresce con facilità più o meno in tutta Italia e si trova particolarmente bene nei terreni incolti e degradati, tipici delle zone urbane e industriali: lungo le ferrovie e le strade, nei cantieri e anche in presenza di rovine archeologiche.
È infatti un albero molto adattabile, che si riproduce in vari modi diversi ed è molto difficile da eliminare. Non basta tagliare il tronco per farlo morire, perché dalle radici possono svilupparsi altre piante. Al contrario potarlo può sollecitarne la crescita. Le radici poi possono allargarsi in un raggio di più di 20 metri dalla pianta originaria, che dunque può dare origine a propri cloni anche a una certa distanza. Questa capacità delle piante di ailanto è anche una delle ragioni per cui sono così dannose: nei siti archeologici possono deteriorare la stabilità delle strutture antiche, come è stato dimostrato per le Mura aureliane di Roma.
Progettare di eliminare completamente la specie dall’Italia, dopo decenni e decenni di diffusione, è inverosimile, ma negli ultimi anni sono stati avviati dei progetti per eradicarla almeno da alcune piccole isole, come Montecristo, nell’Arcipelago Toscano, e San Domino e San Nicola, nell’arcipelago delle Tremiti. Esistono inoltre studi per trovare erbicidi in grado di uccidere queste piante.

Piante di ailanto in un terreno prossimo alla stazione ferroviaria di Porta Genova, a Milano, giugno 2024 (il Post)
Gli ailanti, il cui nome scientifico è Ailanthus altissima, sono originari del nord del Vietnam e dell’est della Cina. Ai tempi del loro arrivo in Europa non erano malvisti e anche per questo per un lungo periodo hanno potuto diffondersi liberamente. Furono introdotti come alberi ornamentali nel Settecento, quando andava molto di moda l’immaginario proveniente dai paesi orientali: il primo cresciuto in Italia venne piantato intorno al 1760 all’Orto botanico di Padova. L’altro nome con cui sono chiamati, “alberi del paradiso”, è indicativo della buona reputazione che avevano quando vennero introdotti.
Continuarono poi a essere visti in modo positivo fino al Novecento. È un ailanto l’albero al centro di Un albero cresce a Brooklyn di Betty Smith, romanzo pubblicato nel 1943 e poi trasposto in un film da Elia Kazan: entrambi parlano di una famiglia povera che nella New York di inizio secolo affronta una serie di difficoltà, ma riesce a sopravvivere come un ailanto, che è appunto in grado di prosperare anche in condizioni avverse. In Italia pare che un ailanto fosse molto apprezzato dalla giovane Elsa Morante, che stando alla biografia scritta dal fratello Marcello identificava in un albero del paradiso che cresceva nel giardino della propria casa d’infanzia un «simbolo della propria vita».

La copertina dell’edizione originale di Un albero cresce a Brooklyn (Wikimedia Commons)
Ora però sono ben noti i danni causati dagli ailanti, oltre a quelli che riguardano i siti archeologici. Nelle campagne la loro presenza può facilitare quella di alcuni insetti nocivi per le colture, mentre nelle città può causare disagi alle persone allergiche ai pollini, dato che può suscitare reazioni di questo genere. Ma soprattutto gli ailanti danneggiano le piante autoctone con cui competono, perché ne prendono gli spazi e riescono a propagarsi molto efficacemente. Inoltre modificano la composizione chimica del suolo, influenzando negativamente la crescita di altre piante.
Distinguere gli ailanti da altre piante è piuttosto semplice per la forma delle loro foglie: sono “imparipennate”, termine che in botanica indica le foglie composte da una o più coppie di foglioline disposte ai lati di una nervatura centrale, che termina con un’unica foglia centrale. Alcuni lettori del Post per esempio hanno osservato il gran numero di ailanti nelle fotografie dell’area di vegetazione di Pietralata di cui si sta discutendo per il progetto di costruzione dello stadio della Roma, la squadra di calcio, nei commenti all’articolo dedicato. In terreni abbandonati come quello gli ailanti crescono prima di altre piante perché non sono disturbati dalla presenza di sostanze inquinanti nel suolo e sono più veloci a crescere di altri alberi.
La loro tolleranza nei confronti degli inquinanti è anche la ragione per cui in passato sono stati usati per ricoprire zone precedentemente occupate da discariche, mentre la loro capacità di crescere in terreni impervi è stata sfruttata per rafforzare zone in pendio e scongiurare frane.

Un ailanto a Capri, in primo piano, ottobre 2024 (il Post)
In Italia le uniche aree in cui gli ailanti non crescono sono quelle sopra certe altitudini, sia sugli Appennini che sulle Alpi, oltre alle aree ricche di vegetazione e poco influenzate dalle attività umane. Dove gli organismi degli ecosistemi naturali convivono in un buon equilibrio è più difficile che piante aliene possano diffondersi.
– Ascolta anche: La puntata di Vicini e lontani sull’ailanto e su altre piante aliene