Qualunque cosa faccia, Netanyahu ha un solo obiettivo
Ha annunciato una nuova offensiva a Gaza ma anche l'invio di cibo: tutto per fare andare ancora avanti la guerra

Negli ultimi giorni il governo israeliano di Benjamin Netanyahu ha fatto annunci e azioni apparentemente contraddittori. Dopo giorni di intensi e devastanti bombardamenti della Striscia di Gaza che hanno ucciso centinaia di civili, ha avviato una nuova offensiva di terra chiamata “Carri di Gedeone”, che però è partita lentamente e impiega una quantità di mezzi e soldati limitata rispetto alle operazioni dei primi tempi della guerra.
Al tempo stesso, mentre colpisce duramente la Striscia, Netanyahu ha annunciato la ripresa dell’ingresso di cibo, dopo un blocco durato oltre due mesi che ha avuto conseguenze durissime per la popolazione civile. Anche in questo caso però è una ripresa molto limitata, che per ora ha consentito l’accesso di pochi camion. Questi due annunci servono a Netanyahu per accontentare due pubblici molto differenti, e hanno un unico scopo: prolungare la guerra a Gaza.
L’operazione “Carri di Gedeone” (che è un grande condottiero militare della Bibbia) serve ad accontentare e rabbonire gli alleati di destra radicale ed estremisti ebraici da cui il governo di Netanyahu dipende. Questi alleati vogliono che Israele torni a occupare militarmente la Striscia di Gaza, cosa che però l’esercito israeliano ritiene pericolosa e inutile. La nuova offensiva, che è lenta e non troppo massiccia, consente quindi a Netanyahu di tenere dalla sua parte la destra estremista, senza però impegnarsi in un’occupazione su larga scala, almeno per ora.
La ripresa (molto parziale) dell’invio di cibo serve invece a tenere a bada soprattutto l’amministrazione statunitense di Donald Trump, che negli ultimi giorni ha mostrato segni di esasperazione nei confronti del governo israeliano. Sabato Trump aveva detto che «bisogna gestire Gaza, moltissime persone stanno morendo di fame»: è la prima volta che il presidente americano parla esplicitamente delle sofferenze della popolazione palestinese, e questo ha fatto capire a Netanyahu che era necessario fare qualcosa per evitare il peggio della crisi umanitaria.

Benjamin Netanyahu il 29 aprile 2025 (Abir Sultan/Pool Photo via AP)
Lo ha ammesso lui stesso lunedì, quando ha detto che la decisione di far rientrare una limitata quantità di aiuti a Gaza è stata presa perché, se a Gaza comincerà una crisi umanitaria ancora più devastante dell’attuale, Israele «perderà i suoi sostegni (all’estero) e non riusciremo a ottenere la vittoria». La sua vera preoccupazione non sono i civili palestinesi, è la reazione all’estero.
In pratica, Netanyahu ha fatto due mezzi passi in due direzioni differenti (nuova offensiva, ripresa degli aiuti), ma con l’intenzione di rimanere fermo, e di mantenere il più a lungo possibile lo status quo. «Netanyahu, come al solito, preferisce prendere tempo e non decidere niente», ha detto al New York Times Daniel Shapiro, l’ex ambasciatore americano in Israele.
Questo bilanciamento tra posizioni divergenti ha consentito a Netanyahu di fare andare avanti la guerra per oltre un anno e mezzo, benché ormai secondo i sondaggi oltre il 70 per cento degli israeliani voglia un cessate il fuoco. Il primo ministro israeliano ha bisogno che la guerra prosegua sia per garantire la tenuta del suo governo, dipendente dai fondamentalisti, sia per ritardare le inchieste per corruzione in corso contro di lui da prima dell’attacco del 7 ottobre 2023.
Queste ultime mosse vanno viste anche alla luce dei negoziati per un cessate il fuoco ripresi negli scorsi giorni. Netanyahu ha usato la nuova offensiva per aumentare la pressione militare su Hamas, e la ripresa parziale degli aiuti per provare a smentire le accuse di un trattamento brutale della popolazione civile.