In Italia nel 2024 una persona su dieci ha rinunciato a curarsi

I motivi sono quelli per cui governo e regioni vengono criticati da tempo: liste d'attesa e soldi

Una sala visita all'istituto europeo di oncologia, a Milano
Una sala visita all'istituto europeo di oncologia, a Milano (Stefano Porta/LaPresse)
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Nel 2024 quasi 6 milioni di persone, circa un decimo della popolazione italiana, hanno dovuto rinunciare a curarsi perché i tempi di attesa per esami e visite sono troppo lunghi o perché fare i controlli costa troppo.

Dopo la pandemia la quota di popolazione costretta a rinunciare alle cure è sempre cresciuta, ma tra il 2023 e il 2024 l’aumento è stato più marcato rispetto all’andamento degli ultimi anni: nel 2023 le persone che rinunciavano erano il 7,5 per cento del totale, nel 2024 il 9,9. L’aumento è ancora più significativo rispetto al 2019, l’anno che ha preceduto la pandemia, quando la percentuale era al 6,3 per cento.

Secondo medici ed esperti di sanità questo indicatore è molto importante perché più le persone rinunciano a curarsi e più ci saranno conseguenze sulla salute pubblica oltre che sulla tenuta del sistema sanitario, quindi in generale per tutte le italiane e gli italiani.

I dati che raccontano questo fenomeno sono pubblicati ogni anno dall’ISTAT, l’istituto italiano di statistica, e sono il risultato di sondaggi fatti tra un campione robusto della popolazione. Se si osservano i dati più nel dettaglio si scopre che la percentuale di donne che rinuncia alle cure è più alta (11,4 per cento) rispetto a quella degli uomini (8,3 per cento). l divario tra donne e uomini è più evidente nella fascia di età tra i 25 e i 34 anni, poi si riduce in età più avanzata fino ad annullarsi a partire da 75 anni.

I lunghi tempi di attesa per sottoporsi a esami di laboratorio e visite specialistiche sono la causa principale della rinuncia alle cure: il 6,8 per cento delle persone dice che non si cura perché bisogna aspettare troppo tempo. La quota di persone che rinunciano per questo motivo è aumentata molto: di 4 punti percentuali dal 2019 e di 2,3 punti percentuali rispetto al 2023.

L’altra ragione della rinuncia riguarda la difficoltà di potersi permettere la visita o l’esame. Il 5,3 per cento delle persone ha detto di aver rinunciato per motivazioni economiche. Anche questa percentuale è in aumento. L’ISTAT ha rilevato anche che è cresciuto il ricorso a cliniche e strutture private per esami e visite: nel 2024 il 23,9 per cento della popolazione si è affidato ai privati senza aver nessun rimborso dalle assicurazioni sanitarie.

La rinuncia alle cure aumenta il rischio di mortalità, in particolare tra le persone anziane nel caso di malattie croniche come diabete, ipertensione e malattie cardiache che richiedono controlli e cure costanti: se trascurate, possono portare a complicanze gravi e irreversibili. I dati dell’ISTAT dicono che in Italia la speranza di vita è aumentata – 81,4 anni per gli uomini, 85,5 per le donne – ma la speranza di vita in buona salute continua a diminuire. Significa che si vive di più, ma meno in salute.

Alla lunga la rinuncia alle cure per così tante persone ha effetti anche sul sistema sanitario perché la mancata prevenzione di malattie porta a un maggiore utilizzo dei servizi di emergenza e dei ricoveri in ospedale, servizi molto più costosi per la collettività rispetto alla prevenzione. Con la prevenzione è possibile ridurre il rischio di sviluppare malattie croniche come diabete, ipertensione e malattie cardiovascolari, oltre che i tumori.

Negli ultimi mesi proprio sulla gestione delle liste d’attesa c’è stato un confronto acceso tra il governo e le regioni. Dopo mesi di discussioni non è stato trovato ancora un accordo sul decreto ministeriale per ridurre le liste d’attesa di visite ed esami medici, un provvedimento che tra le altre cose prevede la cosiddetta attuazione dei poteri sostitutivi, una sorta di commissariamento della sanità regionale quando non vengono rispettati determinati obiettivi: secondo le regioni, che in Italia hanno gran parte delle competenze sulla sanità, l’ipotesi di un commissariamento è un’ingerenza eccessiva dello Stato sui loro poteri. Il governo sostiene invece che i poteri sostitutivi siano necessari per risolvere uno dei problemi più sentiti dalle persone,  rilevato anche dai dati dell’ISTAT.

Il decreto ministeriale servirebbe a rendere operativo il piano sulle liste d’attesa approvato dal governo l’estate scorsa e per la maggior parte rimasto inattuato proprio per i litigi con le regioni. Nel frattempo alcune regioni hanno trovato modi inusuali per cercare di migliorare la situazione: la Lombardia, per esempio, ha firmato un protocollo con i carabinieri dei NAS (il nucleo antisofisticazioni e sanità) per controllare il rispetto dei tempi di attesa da parte degli ospedali.