Donald Trump contro Apple, di nuovo

È tornato a parlare di dazi sugli smartphone importati, ma produrre iPhone negli Stati Uniti, come vorrebbe il presidente, è irrealistico

Donald Trump nello Studio Ovale della Casa Bianca, il 23 maggio
Donald Trump nello Studio Ovale della Casa Bianca, il 23 maggio (Samuel Corum/Pool/ABACAPRESS.COM)
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Le più recenti minacce di dazi del presidente degli Stati Uniti Donald Trump riguardano di nuovo gli smartphone, e in particolare gli iPhone, oltre che l’Unione Europea. Trump aveva già preannunciato dei dazi sui telefoni venduti negli Stati Uniti nei mesi scorsi, ma poi li aveva esclusi quasi subito dalle merci interessate, ancora prima di sospendere quasi tutti i provvedimenti sul tema. Venerdì è stato molto specifico: ha tirato in ballo Apple, nominandola direttamente, e solo in seguito ha detto ai giornalisti che la minaccia di un dazio del 25 per cento si applicherebbe anche alla sudcoreana Samsung, la principale azienda concorrente.

L’obiettivo apparente di Trump è ideologico, e sempre lo stesso: far produrre a Apple i suoi smartphone negli Stati Uniti. È però un obiettivo irrealistico e irrealizzabile in tempi brevi, visto che la produzione degli iPhone è globale e dipende profondamente da fabbriche e componentistica asiatiche. Peraltro l’azienda aveva già sostenuto vari costi e sforzi per adeguarsi ai caotici provvedimenti economici di Trump.

La quasi totalità degli iPhone venduti (si stima l’85-90 per cento) proviene dalla Cina: il paese sottoposto ai dazi più alti di tutti, nonostante le riduzioni concordate a metà maggio tra i due paesi. Per adeguarsi alla nuova situazione Apple aveva aumentato le importazioni da altri paesi, specialmente India e Vietnam, con lo scopo di sostituire quelle dalla Cina per il mercato statunitense. Questa operazione le è costata 900 milioni di dollari (quasi 800 milioni di euro), ha detto l’amministratore delegato Tim Cook.

Un Apple Store ad Hanoi, in Vietnam

Un rivenditore Apple ad Hanoi, in Vietnam (AP Photo/Hau Dinh)

Apple contava di concentrare in India la produzione degli iPhone per il mercato statunitense entro la fine dell’anno. Per questo Foxconn, la multinazionale che è una delle più grandi produttrici di componentistica elettronica del mondo e assembla gli iPhone per conto di Apple in Cina, stava investendo un miliardo e mezzo di dollari (1,3 miliardi di euro) per espandere il suo stabilimento indiano di Chennai. In tutto questo, Stati Uniti e India stanno ancora negoziando un accordo commerciale per ridurre i dazi sospesi. Per quanto riguarda l’India, i dazi sui prodotti importati negli Stati Uniti sono del 26 per cento.

Nel tentativo di ingraziarsi il presidente, tra l’altro, a febbraio Apple aveva annunciato piani per investire 500 miliardi di dollari e assumere 20mila persone negli Stati Uniti entro il 2028. Questi piani, però, non includono la produzione degli iPhone: un tema che a Trump sembra stare particolarmente a cuore. E venerdì il presidente ha detto che la soluzione di Apple di ampliare la produzione in India non gli va bene.

L'amministratore delegato di Apple, Tim Cook, alla cerimonia d'insediamento di Trump, lo scorso 20 gennaio

L’amministratore delegato di Apple, Tim Cook, alla cerimonia d’insediamento di Trump, lo scorso 20 gennaio (AP Photo/Julia Demaree Nikhinson)

La versione dell’amministrazione Trump è che Apple potrebbe automatizzare la produzione, per controbilanciare la mancanza di manodopera specializzata negli Stati Uniti (una delle molte ragioni per cui è impensabile l’idea di trasferire la produzione nel paese). Il segretario al Commercio Howard Lutnick, però, aveva ammesso che non c’è ancora la tecnologia per fare una cosa del genere.

Economisti ed esperti dell’industria tecnologica concordano che allo stato attuale delle cose sarebbe impossibile spostare la produzione, che per ogni singolo iPhone è uno sforzo internazionale. In ogni caso ci vorrebbero anni e miliardi di dollari di investimenti, e come risultato il prezzo di vendita di un iPhone probabilmente triplicherebbe.

Durante il primo mandato di Trump, Cook aveva avuto buoni rapporti con lui. Anche in questi mesi il CEO di Apple si era ben guardato dal criticarlo pubblicamente e, secondo fonti di Reuters, martedì lo ha incontrato. Venerdì Trump però è tornato a fare pressione sull’azienda, dicendo che i dazi sugli smartphone entreranno in vigore a fine giugno. Ha anche detto di essere disposto a concedere «una certa dilazione» in base agli impegni presi dalle aziende: una precisazione che lascia intendere che tutto dipende, almeno nei suoi piani, da cosa otterrà in cambio di un’ennesima ritrattazione sui dazi minacciati.

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