È sempre più difficile che Unicredit riesca a comprare Banco BPM
Perché il governo continua a mettersi di traverso, e non si capisce nemmeno bene perché

Alcuni avvenimenti dell’ultima settimana hanno reso più improbabile che Unicredit, la seconda più importante banca italiana, riesca a comprare come da suoi auspici Banco BPM, altra grande banca con sede in Italia. È una delle operazioni più importanti e osservate del cosiddetto “risiko bancario”, cioè quel grande fermento di acquisizioni e fusioni tra banche di cui si è parlato molto negli ultimi mesi: l’unione delle due banche creerebbe infatti il primo gruppo bancario italiano per capitalizzazione, cioè per valore complessivo delle azioni.
Sull’operazione ci sono anche molte attenzioni perché da quando a novembre Unicredit ha avviato l’Offerta Pubblica di Scambio – cioè una delle diverse modalità con cui si comprano le banche – il governo di Giorgia Meloni si è sempre messo di traverso con motivazioni pretestuose, ambigue, e mai davvero chiarite. Lo ha fatto anche in questi giorni, con una decisione piuttosto incomprensibile che ha alimentato una certa tensione tra Unicredit e il governo, e che ha creato anche alcuni dissidi istituzionali tra la Consob, l’autorità che si occupa di vigilare sui mercati finanziari, e Banco BPM.
Dopo diverse trattative con la banca, la scorsa settimana il governo ha confermato le severe condizioni che ad aprile aveva imposto a Unicredit per poter procedere all’operazione. Lo aveva fatto sfruttando la normativa del golden power, lo strumento con cui in casi eccezionali la presidenza del Consiglio può di fatto condizionare o addirittura vietare un’operazione di mercato. Secondo gran parte degli osservatori la decisione è stata una forzatura abbastanza evidente della normativa, peraltro mai davvero motivata: il golden power di solito si usa per bloccare o condizionare operazioni su settori strategici, cosa che effettivamente il settore bancario è, ma quando sono coinvolti compratori stranieri, circostanza che non si applica a questo caso. Su questo ci torniamo.

La sede di Banco BPM, a Milano (Marco Ottico/LaPresse)
Tra le condizioni imposte a Unicredit il governo aveva chiesto di lasciare entro gennaio la Russia (dove è una delle poche banche occidentali ancora operative dopo l’invasione dell’Ucraina), e di impegnarsi a non ridurre in futuro il numero complessivo dei suoi sportelli bancari. Per cinque anni Unicredit si sarebbe dovuta impegnare anche a non ridurre il rapporto impieghi/depositi (cioè tra il valore dei prestiti concessi e le somme depositate dai correntisti) né i finanziamenti di opere pubbliche o di pubblica utilità delle due banche (e anche di Anima SGR, società appena acquisita da Banco BPM).
Unicredit sostiene non solo che i paletti imposti dal governo non rendano più conveniente l’acquisizione di Banco BPM, ma anche che non siano chiari nel merito. Ha detto che farà ricorso al TAR, il tribunale amministrativo regionale competente in questi casi, e che si metterà a disposizione delle autorità europee che dovranno valutare che il governo abbia usato il golden power in modo opportuno: già nelle prime settimane di giugno le istituzioni europee dovrebbero esprimersi. Il golden power è infatti soggetto al controllo europeo, dal momento che è una pratica che se abusata potrebbe compromettere la normale concorrenza.
A prescindere da come andranno le procedure, l’amministratore delegato di Unicredit Andrea Orcel ha detto che difficilmente le decisioni di TAR e istituzioni europee arriveranno in tempo per la riuscita dell’operazione: ha detto però che non esclude che l’offerta potrà essere ripresentata in futuro, se quella attuale dovesse alla fine decadere.

L’amministratore delegato di Unicredit Andrea Orcel (Gian Mattia D’Alberto/LaPresse)
La scadenza dell’Offerta Pubblica di Scambio, cioè il termine entro il quale gli azionisti di Banco BPM possono decidere se accettare le condizioni di Unicredit, era inizialmente prevista per il 23 giugno: nel frattempo, su richiesta della stessa Unicredit, l’offerta è stata sospesa dalla Consob e la scadenza per le adesioni è stata posticipata alla fine di luglio. La sospensione ha molto irritato Banco BPM, la cui dirigenza si era opposta fin dall’inizio all’operazione: l’amministratore delegato Giuseppe Castagna ha definito la decisione «abnorme», perché blocca i piani della banca per un altro mese. Una banca oggetto di un’Offerta Pubblica non può infatti per legge fare operazioni straordinarie o avviare nuovi piani di sviluppo: Castagna ha detto che presenteranno ricorso al TAR contro la Consob.
Il presidente della Consob Paolo Savona si è molto risentito di queste dichiarazioni, e anche delle indiscrezioni secondo cui nel governo ci sarebbe stato disappunto sulla sua decisione: nel fine settimana ha detto che è pronto a farsi da parte «se non più gradito», ma ha comunque difeso la sospensione dicendo che «in situazioni come questa il mercato non è in grado di decidere correttamente». Insomma, la decisione del governo di confermare la sua valutazione sul golden power ha creato un bel po’ di problemi e sta di fatto impedendo un’operazione di mercato. Ma il punto è che non si capisce nemmeno perché.

Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini al Senato (Roberto Monaldo / LaPresse)
Quando Unicredit annunciò l’operazione nello scorso autunno diversi membri del governo – tra cui i ministri Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti – la criticarono pubblicamente, sostenendo che Unicredit sarebbe una banca straniera e portatrice di interessi stranieri. Era una motivazione davvero particolare, oltre che falsa: Unicredit è in effetti detenuta in buona parte da investitori non italiani, ma risponde a leggi italiane, è quotata e paga le tasse in Italia, la sede è a Milano e il suo presidente è addirittura un ex ministro italiano, Pier Carlo Padoan (è italiano anche Orcel, l’amministratore delegato). Unicredit è a tutti gli effetti una banca italiana.
Tra l’altro proprio in quei giorni aveva comprato una quota rilevante di Banco BPM la grande banca francese Crédit Agricole: in quel caso la critica sarebbe stata quantomeno più pertinente, trattandosi davvero di una banca straniera. Il governo però non disse niente, e si alimentò allora un certo sospetto che dietro l’ostilità verso l’operazione di Unicredit ci fossero altre ragioni. Quella ritenuta più plausibile è che il governo avesse per Banco BPM piani diversi.
In particolare, sembrava che il governo puntasse molto a fare in modo che Banco BPM si unisse con MPS (ex Monte dei Paschi di Siena), altra importante banca italiana attualmente in gran parte di proprietà dello stato italiano: il governo sta cercando da tempo di venderla e l’unione con Banco BPM gli avrebbe risolto un bel po’ di problemi (e gli permetterebbe di incassare molti soldi). Avrebbe permesso anche la creazione dell’auspicato “terzo polo”, una terza grande banca che secondo molti esperti farebbe bene al sistema perché si porrebbe in concorrenza diretta con Intesa Sanpaolo e Unicredit, di cui scalfirebbe la posizione di sostanziale duopolio del mercato. Su questa operazione non c’è però mai stato niente di concreto, e anzi più volte la dirigenza di Banco BPM l’ha smentita.
Nel frattempo poi il progetto del “terzo polo” sembra sia stato dirottato su un’altra operazione, sempre con una certa regia del governo: il tentativo di MPS di comprare Mediobanca, un’acquisizione molto, molto criticata sul piano industriale, e che risponderebbe perlopiù a logiche di potere (tutte spiegate qui). La riuscita dell’operazione è però tutt’altro che scontata, anche perché Mediobanca nel frattempo ha avviato a sua volta un’altra acquisizione per cercare di non essere comprata: è del resto così che funziona il risiko bancario, comprare per non essere comprati. È possibile che il governo sia ancora ostile all’acquisizione di Banco BPM perché vuole tenersi aperte più porte possibili.
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