Lite alla cattedrale

«Molti venivano alla cassa perché non sapevano che quell’ingresso fosse gratuito. Non era indicato da nessuna parte, così come sulle persone non c’è scritto che sono fedeli. Non potevo sapere che la signora spagnola era una fedele, ma ho notato che le persone diventano fedeli molto in fretta quando scoprono i vantaggi»

La piazza del Duomo di Milano (Francesco Scaccianoce/Getty Images)
La piazza del Duomo di Milano (Francesco Scaccianoce/Getty Images)
Zsófia Czakó
Zsófia Czakó

È una scrittrice ungherese che vive a Budapest. Scrive romanzi, ne ha pubblicati tre. Nagypénteken nem illik kertészkedni ("Non è appropriato fare giardinaggio il Venerdì Santo") è la sua prima opera pubblicata.

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Io e la vecchia signora spagnola ci fissavamo negli occhi. Mi disse che ero una ladra, una sanguisuga, una blasfema e, per giunta, anche una comunista. Ladrona, chupasangre, senza dio, comunista: non sapevo come rispondere all’ultimo insulto. Per gli altri c’era una spiegazione, ma che io potessi essere una comunista, proprio io, era un’accusa a cui non sapevo rispondere.

Forse quando le avevo comunicato che non era previsto il rimborso dei biglietti si era concentrata sul mio accento, sulla mia pronuncia spagnola imperfetta, e aveva capito che venivo dall’Europa dell’est comunista. Insomma, mi aveva smascherata e non si sarebbe mossa finché non le avessi ridato i soldi del biglietto che sosteneva avere acquistato da me mezz’ora prima. Ma io non avevo il minimo ricordo di lei. Mi sventolava il biglietto davanti agli occhi, inutilmente.

Tra le 9 e le 15 avevo venduto 3.879 biglietti e nessuno può pretendere che una lavoratrice straniera – “comunista” – ricordi tutti i 3.879 volti a cui aveva venduto biglietti in sei ore. Ma il biglietto della signora aveva il mio numero di cassa e la data di quel giorno, quindi non avevo altra scelta che darle ragione:

– Signora, non sono una comunista sanguisuga, qualunque cosa significhi, la prego di capire, ho le mani legate. Non ho deciso io che l’ingresso al Duomo di Milano costi due euro e non è colpa mia se il biglietto non può essere rimborsato in nessun caso, nemmeno in caso di morte. Sto solo facendo il mio lavoro, por favor. 

Nel maggio 2015, con l’apertura dell’Expo di Milano, l’ingresso alla cattedrale divenne a pagamento. Per ammirare dall’interno l’edificio religioso più famoso della città, i visitatori dovevano pagare due euro a noi cassieri, rannicchiati in due baracche di lamiera. La più grande, che noi dipendenti chiamavamo “la scatola”, aveva due piccole finestre affacciate sulla piazza, attraverso le quali vendevamo i biglietti. Una delle due finestre serviva i visitatori normali, l’altra era per i clienti prioritari: gruppi, bambini, pensionati e disabili.

Dalla parte opposta della cattedrale, in un altro chiosco che chiamavamo “la nave”, lavoravano cinque cassieri dietro cinque finestre. Rispetto alla scatola, era un po’ più distante dall’ingresso della chiesa, e i turisti faticavano a vederlo: per attirare l’attenzione dei visitatori, qualcuno aveva messo sul tetto un albero fatto di listelli e corde, da cui appunto il nome, “la nave”. Ma era stato inutile: la gente non ci andava, non voleva, non osava.

A causa di questa progettazione fallimentare fin dall’inizio, il personale della cattedrale doveva informare la gente che esisteva un altro posto dove acquistare i biglietti e dove non c’era una fila di ore. L’informazione era affissa in più lingue e veniva anche annunciata a voce, ma chi era in fila davanti alla scatola non si muoveva lo stesso. Pochi credevano davvero che a due minuti di distanza esistesse un’altra cassa aperta. Ormai erano in fila e non volevano perdere il loro posto e poi la fila che stavano facendo funzionava, mentre l’altra chissà. In conclusione, nessuno lasciava la fila alla scatola per andare alla nave e tutti preferivano restare in attesa.

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Ad avvicinarsi alla nave erano solo i prescelti, gli avventurieri, i vincenti, gli intelligenti, gli intraprendenti, quelli che nella vita superano meglio gli ostacoli perché capiscono che gli ostacoli possono essere superati, le persone capaci di cambiare tattica e cercare soluzioni alternative quando qualcosa non funziona. Quando arrivavano alla nave, li vedevi sorridere trionfanti, e chiedersi con falsa ingenuità perché tutti rimanessero dall’altra parte, incastrati in code di chilometri, file rassegnate fatte di deboli e perdenti, una folla agitata che dipendeva da una sola persona: il cassiere. Me.

Non sapevo bene perché fossi lì.

– Gli spagnoli sono così, mi disse Maria, la collega moldava alta e robusta, voltandosi per un secondo dallo sportello dei clienti prioritari.

– Gli spagnoli, gli italiani e i rumeni.

Maria si era trasferita a Milano dieci anni prima, a vent’anni, per lavorare come cassiera in cattedrale e da allora non aveva mai cambiato lavoro. Quando aveva iniziato c’era meno da fare perché si pagava solo per salire sul tetto, ma Maria riuscì ad adattarsi al nuovo ritmo. Sfornava biglietti come una macchina, una macchina sentimentale e premurosa, perché per lei era importante anche dare informazioni, spiegare dove fosse l’ingresso o cos’altro valesse la pena vedere. Le piaceva parlare con gli asiatici, aveva imparato saluti e numeri in coreano, cinese e giapponese, e gli avrebbe anche sorriso, perché li trovava teneri, persi, gentili, rispettosi, soltanto che non poteva: il tempo era troppo poco per una cassiera.

– Gli spagnoli sono così, mi disse Maria vedendo la signora che sbraitava davanti a me.

Indossava una gonna grigia al ginocchio e una giacca nera abbinata. I capelli raccolti elegantemente, perle alle orecchie. Gridava che una cosa del genere era impensabile a Madrid: pagare per entrare in una chiesa. Solo e soltanto in Italia succedono queste cose.

L’affermazione attirò l’attenzione di Gloria, la collega italiana lesbica, che smise di contare il resto e corse arrabbiata alla finestra. Anche Gloria lo diceva spesso che solo in Italia succedono certe cose, ma lei era italiana e quindi poteva permetterselo, la sua non era critica. Come diceva mia madre: la famiglia può criticare la famiglia, ma gli altri no.

Intanto gli americani in coda dietro la signora spagnola si erano stancati e stavano chiedendo di lasciarli passare, perché erano lì da quarantacinque minuti. La lunga fila serpeggiante diventava sempre più agitata, la gente si sporgeva per sbirciare avanti, aumentavano le spinte. Ma la signora spagnola continuava a infuriarsi davanti al mio sportello, il viso deformato dal rancore. Mi diceva che era tornata da me perché la navata nord era chiusa e lo staff le aveva detto che era riservata ai fedeli. Perciò era tornata: voleva solo pregare e quindi non avrebbe dovuto pagare il biglietto.

Ho riflettuto a lungo sullo scopo delle persone che visitano la cattedrale. C’erano diversi ingressi: uno per i visitatori paganti (i due famigerati euro) da cui teoricamente si poteva accedere ovunque, tranne che nell’area riservata ai fedeli; un altro portava alla terrazza tramite scale o ascensore; e poi c’era la Porta Santa, riservata ai fedeli, dove non serviva il biglietto. Ma molti venivano alla cassa perché non sapevano che quell’ingresso fosse gratuito, perché non era indicato da nessuna parte: non c’era scritto che quella era la Porta Santa, così come sulle persone non c’è scritto che sono fedeli. Peraltro, io non potevo sapere cosa significasse essere fedele. E non potevo sapere che la signora spagnola in tailleur grigio era una fedele, stavo solo notando che le persone diventano fedeli molto in fretta quando scoprono i vantaggi.

– Quanto?
– Due euro, per favore.
– Maledizione, volevo solo pregare.
– Allora la pregherei di andare alla Porta Santa, l’ingresso dei fedeli. Lì non serve il biglietto.
– Meglio così. Perché dovrei pagare per una fottuta chiesa se sono italiano, sono di Napoli. A Napoli non si paga niente.

Come facevo a sapere qual era il vero scopo di tutta quella gente?

Ero così stressata che di notte sognavo di essere una portinaia, una guardaportone, non una cassiera. L’ingresso del Duomo era sorvegliato da soldati armati che perquisivano la gente, controllavano le borse; di fianco a loro agivano i guardaportoni che respingevano chi non aveva spalle e ginocchia coperte. Ecco, io sognavo di essere una di loro, una di quelli che sorvegliavano gli ingressi. In un sogno, tra i fedeli che arrivavano alla Porta Santa, c’era una giovane donna. Il mio collega la osservò eccitato:

– La signorina è una fedele?, le chiese con tono scherzoso.
– Sì, rispose lei.
– Allora le farò alcune domande. Niente di difficile, dobbiamo solo capire chi è un vero fedele e chi mente.
– Va bene.
– Mi dica i nomi dei quattro evangelisti.

La ragazza aggrottò la fronte, frugando nella memoria, poi disse sottovoce:

– Matteo, Marco, Luca…, ma poi si fermò.

Curiosamente sbagliava nello stesso punto in cui sbagliavo anch’io, perché non riuscivo mai a ricordare il quarto evangelista. Alla fine anche lei diceva «Giuda» invece di «Giovanni». Il mio collega si batté le mani con rammarico.

– Risposta sbagliata. Purtroppo non va bene.

Nel frattempo, nel sogno, io chiedevo a un vecchio con gli occhiali, il bastone e un cappotto di stoffa, di recitare il Credo. Il vecchio iniziò:

– Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra…

Mentre il vecchio continuava calmo, con voce profonda, come se recitasse una poesia, due soldati trattenevano la giovane donna che protestava e la allontanavano dalla fila riservata ai fedeli perché non aveva saputo dire i nomi degli evangelisti. Il vecchio proseguiva:

– Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio…

Poco più in là c’era un altro fedele a cui per entrare era stato chiesto di elencare le stazioni della Via Crucis.

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