Le app per trovare nuovi amici funzionano?
Da Timeleft a Bumble For Friends, si stanno moltiplicando: l'obiettivo è più arduo di quello che sembra
di Viola Stefanello

Un mercoledì sera di febbraio, Martino si è trovato fuori da una pizzeria di Roma con sei persone che non aveva mai visto prima in vita sua: una professoressa di francese, un nutrizionista, un’attrice, una studentessa di medicina e un data scientist. A dare loro appuntamento lì, dopo aver incrociato preferenze alimentari, lingua parlata, fascia d’età e qualche informazione sulla loro personalità, era stato un algoritmo: quello di Timeleft, un’app di incontri nata nel 2020.
Timeleft non è un’app di appuntamenti come Tinder o Bumble, ma una delle varie app che sono spuntate di recente per aiutare le persone ad allargare la propria cerchia di amici. Partono dalla constatazione che, per motivi diversi, tante persone – soprattutto sopra i trent’anni, soprattutto nelle grandi città – si sentono sole o insoddisfatte della propria vita sociale.
Tra gli utenti di queste app ci sono persone rimaste single mentre gran parte dei loro amici si fidanzava o cominciava ad avere figli, e che sentono la mancanza di qualcuno che condivida il loro stile di vita. Altre si sono trasferite in un posto nuovo per lavoro e non sanno da dove cominciare per costruire una nuova rete di amicizie. Altre ancora lavorano da remoto e quindi non hanno un gruppo di colleghi all’interno del quale trovare degli amici. C’è anche chi fa fatica a trovare un momento per incontrare gli amici di lunga data, per via delle diverse scelte e abitudini di vita.
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Martino, che nella vita fa il content creator, racconta di aver visto una pubblicità di Timeleft su Instagram e di essersi incuriosito perché da qualche tempo «voleva allargare un po’ lo sguardo». Essendo di Roma e avendoci vissuto per tutta la vita, racconta, «ho molti amici di vecchissima data, persone che conosco da quando avevo dieci anni, con cui si è creata ormai una certa routine. Con alcuni di loro, poi, da adulti abbiamo cominciato a vederci un po’ meno».
I media anglosassoni parlano di “loneliness epidemic”, l’epidemia di solitudine che secondo alcuni studi riguarderebbe soprattutto le persone che hanno appena finito gli studi – quando cominciano a venire meno le occasioni di incontrare coetanei con cui si condividono abitudini, interessi e, soprattutto, spazi. La situazione è più grave nelle città con pochi spazi di aggregazione gratuiti o relativamente accessibili che rispondano ai bisogni dei giovani adulti.
Le app per fare amicizia si propongono in un certo senso di rimpiazzare quegli spazi. Alcune replicano i meccanismi delle app di dating, proponendo agli utenti migliaia di profili di persone che cercano nuovi amici e mettendoli in contatto in caso entrambi abbiano espresso interesse verso l’altra persona: una delle più famose, per esempio, è Bumble For Friends, che è stata creata dallo stesso team della dating app omonima. Altre si concentrano sul fare incontrare persone che hanno specifici interessi comuni: Peanut, per esempio, serve a mettere in contatto tra loro donne che hanno figli piccoli. Altre ancora sono pensate per raggruppare davanti a un pasto – che sia una cena o una colazione, come nel caso dell’app The Breakfast – un piccolo gruppo di persone che potrebbero andare d’accordo tra loro.
La già citata Timeleft, per esempio, in Italia è attiva a Milano, Roma, Firenze, Torino, Palermo, Genova e Bologna, e nell’ultimo anno ha attirato 50mila utenti solo in Italia. Ogni mercoledì sera i suoi utenti possono decidere se pagare una piccola somma per incontrarsi attorno a un tavolo con altre persone che, secondo il suo algoritmo, sono compatibili. Aya Tohme, portavoce dell’app, spiega per esempio che il programma cerca sempre di mettere assieme persone che si dichiarano più estroverse insieme a persone più timide, in modo che ci sia qualcuno a rompere il ghiaccio, tenere viva la conversazione e mettere a suo agio gli altri. Poi, l’app mette in contatto le persone che sono uscite a cena insieme, in modo che possano eventualmente rivedersi se sono andate d’accordo.
Offre un servizio simile anche Tablo, che è stata fondata nel 2019 dall’italiano Paolo Bavaro ed è molto cresciuta dopo la pandemia, arrivando ai 600mila utenti attivi di oggi. Tablo permette a chiunque, a prescindere dalla città italiana in cui si trova, di organizzare una “tavolata sociale” in un bar o ristorante e aprirlo a qualsiasi utente voglia partecipare. A volte le tavolate hanno un tema specifico – che sia calcio, politica o uncinetto – ma molto spesso sono aperte a chiunque viva in un determinato quartiere, per conoscersi meglio. «L’idea è quella di spingere le persone a incontrarsi dal vivo e conoscersi, e funziona. Abbiamo sentito tanta gente che poi è diventata talmente amica da andare in viaggio insieme, e addirittura coppie che si sono messe insieme grazie a noi e oggi hanno figli», racconta Bavaro.
Nella sua esperienza, le persone che più apprezzano Tablo hanno tra i 30 e i 50 anni, perché «solitamente prima è facile farsi amici. Poi la gente tende a mettere su famiglia, oppure è più impegnata con il lavoro, e in qualche modo si crea una certa distanza sociale difficile da colmare».
Varie persone che hanno provato queste app, però, hanno raccontato che trovarci effettivamente qualcuno che si vorrebbe come amico è difficile almeno quanto trovare un buon amico in generale. «Il fatto è che farsi anche un solo amico sincero è difficile e richiede una sorta di indescrivibile alchimia, a prescindere da dove lo si incontra», ha scritto la giornalista Allie Volpe, che per conto di Vox ne ha provate varie. «E, nonostante le buone intenzioni, c’è una grande differenza tra desiderare di fare nuove amicizie e impegnarsi concretamente perché questo avvenga».
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Nell’esperienza di Volpe, infatti, le app per fare amicizia hanno lo stesso problema delle app di dating: molte persone non fanno nulla di concreto per sviluppare un rapporto se non creare il profilo, e spesso la conversazione muore molto prima che ci si sia messi d’accordo per incontrarsi. App come Timeleft, che si basano sul dare appuntamento a un piccolo gruppo di sconosciuti, funzionano un po’ meglio perché permettono quantomeno di vedersi di persona. Anche se si è andati d’accordo con qualcuno, però, per diventarci davvero amici è necessario continuare a passare del tempo di qualità insieme, e non sempre succede.
Luca, che ha 30 anni e negli ultimi anni ha provato varie piattaforme per cercare nuovi amici a Milano, dove si è trasferito per lavoro, racconta che «sicuramente gli sono servite per uscire un po’ di casa e fare qualche serata. Ma lo scopo principale, quello di fare amicizia, non l’ho raggiunto». Quando ha provato a usare Meetup, un’altra di queste piattaforme, per iscriversi ad attività di gruppo che gli interessavano, come delle visite guidate al museo o dei corsi di giardinaggio, ha sofferto del fatto che molte non erano organizzate con l’intenzione esplicita di facilitare la connessione tra i partecipanti, ed erano frequentate soprattutto da persone molto più vecchie di lui, con cui aveva poco da spartire.
Quando, invece, ha partecipato ad aperitivi e cene organizzate attraverso la piattaforma ComeHome, si è accorto che molti non erano davvero lì per fare amicizia quanto piuttosto per rimorchiare. «Forse partecipando a molti più incontri di quelli a cui sono stato io, per la legge dei grandi numeri, trovi qualcuno con cui sei davvero affine. Per me, però, è stata un’esperienza abbastanza triste: per fortuna poi ho cominciato a partecipare a club del libro e workshop dedicati a varie mie passioni e in questo modo, frequentando gli stessi spazi per molto tempo, alla fine ho conosciuto delle persone con cui ho potuto creare delle effettive connessioni». Martino, il content creator che ha provato Timeleft varie volte, dice invece di aver fatto degli incontri piacevoli, ma mai abbastanza piacevoli da considerare di rimanere in contatto con le persone incontrate a cena.
Secondo Priscilla De Pace, autrice della newsletter Una goccia, che riflette di frequente sul modo in cui gli utenti si muovono all’interno degli spazi digitali, il problema è che «alcune di queste app ti vendono sostanzialmente la socialità come un’esperienza esotica, quasi turistica. Sono esperienze esclusive, basate su un principio di spontaneità e imprevedibilità: è una cosa che fai una volta ogni tanto, quando ti senti un po’ pazzo».
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