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  • Giovedì 5 giugno 2025

Che campionato troverà Simone Inzaghi in Arabia Saudita

Qualche miglioramento c'è stato, eppure i calciatori forti che ci vanno a giocare si svalutano e la loro carriera ne risente

Un contrasto aereo tra Sergej Milinkovic-Savic e Mohamed Simakan durante l'ultima partita tra Al-Hilal e Al-Nassr, due delle squadre di proprietà del fondo sovrano saudita (Abdullah Ahmed/Getty Images)
Un contrasto aereo tra Sergej Milinkovic-Savic e Mohamed Simakan durante l'ultima partita tra Al-Hilal e Al-Nassr, due delle squadre di proprietà del fondo sovrano saudita (Abdullah Ahmed/Getty Images)
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Dopo aver lasciato l’Inter Simone Inzaghi allenerà l’Al-Hilal, la squadra più titolata del campionato saudita che lo renderà il secondo allenatore più pagato al mondo: Inzaghi riceverà uno stipendio di circa 25 milioni di euro all’anno. L’anno scorso anche l’ex allenatore del Milan Stefano Pioli si era trasferito in Arabia Saudita, dove allena l’Al-Nassr, e prima di loro diversi calciatori che giocavano in Europa.

Sono trascorsi ormai due anni da quando il fondo sovrano dell’Arabia Saudita (gestito dal governo e spesso citato con l’acronimo inglese PIF, Public investment fund) ha cominciato a utilizzare il calcio come strumento per migliorare l’immagine del paese in particolare all’estero (sportswashing), visto che l’Arabia Saudita è governata da un regime autoritario e repressivo. Nel 2023 PIF divenne proprietario delle quattro principali squadre saudite, Al-Ittihad, Al-Nassr, Al-Ahli e Al-Hilal, e cominciò a investire enormi quantità di denaro per acquistare alcuni dei migliori calciatori al mondo, anche se molti nella parte conclusiva della loro carriera, come Cristiano Ronaldo, Karim Benzema e Neymar.

L’obiettivo era rendere la Saudi Pro League, il campionato saudita, un torneo di alto livello, creando interesse anche in Europa, e nel frattempo promuovere il paese all’estero anche in vista dell’assegnazione dei Mondiali di calcio del 2034, che effettivamente e non senza controversie l’Arabia Saudita ha ottenuto.

Due anni dopo, giornalisti ed esperti che hanno seguito il calcio saudita dicono che ci sono stati miglioramenti nel gioco e nel seguito del campionato, ma l’interesse del pubblico europeo è ancora molto scarso per diversi motivi (ci arriviamo). E i miglioramenti sono avvenuti in modo squilibrato: evidentissimi nelle quattro squadre principali, e meno nelle altre. E il livello generale rimane molto distante da quello dei principali campionati europei.

Cristiano Ronaldo, 40 anni, ha lasciato l’Al-Nassr dopo aver segnato 93 gol in 105 partite (Abdullah Ahmed/Getty Images)

Dopo il 2023, quando fu speso quasi un miliardo di euro (in tutto) per acquistare perlopiù calciatori già affermati, se non proprio a fine carriera, in questa stagione le principali squadre saudite hanno speso meno, cioè circa 650 milioni, e lo hanno fatto per acquistare calciatori più giovani. L’età media dei nuovi acquisti recenti era di 24 anni, cioè 4 in meno rispetto alla stagione precedente, anche grazie a una nuova regola. Quest’anno infatti è stato aumentato da 8 a 10 il numero di calciatori stranieri che ciascuna squadra può avere, e questi due aggiuntivi devono essere nati dopo il 2003. Lo stesso Inzaghi è un allenatore sì affermato, ma abbastanza giovane (ha 49 anni).

Le strategie della Saudi Pro League sono cambiate per volere del fondo sovrano, il cui controllo centrale agevola queste trasformazioni e le rende facili da attuare in modo repentino. Nella Saudi Pro League ora si sta cercando di investire non solo su giocatori forti, ma anche sulle infrastrutture e sul consolidamento delle tifoserie.

L’assegnazione dei Mondiali del 2034 ha suscitato proteste e critiche per via delle costanti violazioni dei diritti umani e civili che ci sono nel paese, ma dal punto di vista dell’Arabia Saudita le garantisce la possibilità di fare un progetto più a lungo termine, concentrandosi su aspetti come gli stadi e il calcio giovanile. Rispetto per esempio alla Cina, dove un progetto simile fallì dopo pochi anni, l’Arabia Saudita può contare su una certa cultura calcistica già presente, visto che le squadre saudite erano già discretamente forti (nel contesto asiatico, almeno) e, nelle città principali, già seguite da parecchi tifosi.

Il centrocampista spagnolo Gabri Veiga nel 2023, a soli ventun anni, si trasferì all’Al-Ahli, una scelta all’epoca definita «imbarazzante» dal calciatore del Real Madrid Toni Kroos (Khalid Alhaj/MB Media/Getty Images)

Nel frattempo le quattro squadre rilevate dal fondo PIF, che hanno acquistato tanti calciatori forti, stanno ottenendo risultati positivi in campo internazionale (nella Champions League asiatica) e hanno un discreto seguito di tifosi. Nell’ultima stagione l’Al-Ittihad ha avuto la più grossa presenza di pubblico, con una media di 34.960 spettatori, seguita dall’Al-Ahli con 20.825 (entrambe comunque giocano in uno stadio da 62.345 posti, il King Abdullah di Gedda).

L’Al-Hilal e l’Al-Nassr, entrambe squadre della capitale Riad, sono le uniche altre due a superare i diecimila spettatori di media, mentre alcune squadre meno blasonate, che giocano in stadi piccoli, hanno presenze paragonabili a quelle della Serie C italiana: nell’ultima stagione l’Al-Fayha ha avuto 1.443 spettatori di media, l’Al-Okhdood 1.635. In certe partite in cui non giocano le quattro più forti non è raro che ci siano tre, quattrocento spettatori. La media complessiva delle 18 squadre nella stagione 2024-2025 è stata di 8.354, in calo rispetto ai 9.701 del 2022/2023, quando arrivò Cristiano Ronaldo. Per fare un paragone, l’affluenza della League One, equivalente della Serie C inglese, è stata di 10.146 nella stagione appena conclusa.

Nonostante gli sforzi, in Europa il calcio saudita interessa solo in relazione a notizie di calciomercato. Non ci sono statistiche organiche, ma per esempio l’anno scorso il quotidiano sportivo L’Équipe raccontava che la partita tra Al Hilal e Al Ittihad, in quel momento prima e seconda in classifica, in Francia era stata vista da soli 5.000 telespettatori su Canal+ Foot, un terzo di quelli che qualche giorno dopo avevano assistito a una partita di Serie C francese sullo stesso canale. In Italia La7 e Sportitalia trasmettono alcune partite: la prima mostrata in assoluto da La7, nel 2023, ebbe solo 64.000 spettatori (1,9 per cento di share), e ci giocava Cristiano Ronaldo, che si era appena trasferito lì.

La partita di Saudi Pro League tra Al-Riyadh e Al-Ettifaq dell’ottobre del 2023, in uno stadio piuttosto vuoto (Adam Nurkiewicz/Getty Images)

Il valore di mercato di quasi tutti i calciatori andati a giocare in Arabia Saudita, anche quelli più giovani e nel pieno della loro carriera, è diminuito, così come l’interesse per loro da parte di squadre europee. «Se si considera l’impatto sulle prospettive di carriera di un giocatore e sul suo valore di mercato, il passaggio alla Saudi Pro League è chiaramente negativo» si legge in un approfondimento su Transfermarkt, sito specializzato nel calciomercato.

Finora quasi nessun calciatore o allenatore che si è trasferito in Arabia Saudita è tornato a giocare o allenare ad alti livelli in Europa, e pure continuare a giocare con le proprie nazionali è stato complicato: è tutt’altro che scontato, insomma, pensare di poter andare nella Saudi Pro League per un certo periodo di tempo senza che questo influisca sulla carriera. I motivi sono da un lato economici, e cioè che è difficile che una squadra europea possa avvicinarsi alle cifre che calciatori e allenatori guadagnano in Arabia Saudita, ma anche sportivi: sempre secondo Transfermarkt, i migliori club europei potrebbero essere portati a pensare che i calciatori che scelgono di trasferirsi in Arabia Saudita, soprattutto nel pieno della loro carriera, non siano abbastanza motivati o competitivi per giocare ai massimi livelli.

I 5 trasferimenti finora più onerosi dall’Europa all’Arabia Saudita, e viceversa (Transfermarkt)

Oltre alla distanza culturale dell’Arabia Saudita e alla grossa concorrenza del ricco calendario di calcio europeo, la ragione principale dello scarsissimo interesse e della perdita di valore dei calciatori è soprattutto il livello di gioco della Saudi Pro League, che è ancora molto basso. Il sito Global Football Rankings, che aggiorna costantemente una classifica delle migliori squadre e campionati al mondo, mette quello saudita al trentunesimo posto, dietro a campionati come quello norvegese, quello giapponese, quello cipriota e pure alla Serie B italiana. Un’altra classifica, quella della società londinese Twenty First Group, lo scorso anno metteva la Saudi Pro League al 64esimo posto, peggio addirittura della Serie C italiana.

A dicembre The Athletic, raccontando il big match tra Al-Ittihad e Al-Nassr, scriveva che quanto visto in campo era «un po’ deludente» e che il problema erano soprattutto i «comprimari», cioè i giocatori che non erano i campioni arrivati dall’Europa: «Ogni squadra aveva tre giocatori sauditi, oltre a tre o quattro giocatori stranieri meno promettenti, e altri cinque giocatori sauditi sono entrati in campo come sostituti. È vero che pure in Premier League si possono trovare partite pessime, ma se questo è stato il meglio che la Saudi Pro League ha da offrire nel 2024, il suo obiettivo dichiarato di diventare un campionato tra i primi 10 al mondo entro il 2030 sembra ancora molto lontano».

La presenza di giocatori locali viene comunque considerata fondamentale per far migliorare la Nazionale, che ha una discreta tradizione ma non è mai arrivata oltre gli ottavi di finale ai Mondiali (ci riuscì una volta, nel 1994): l’obiettivo è arrivare al 2034 con una squadra competitiva.

Gli highlights della partita tra Al-Ittihad e Al-Nassr dello scorso dicembre

Non c’è dubbio invece che l’Arabia Saudita, nel calcio come negli altri sport, abbia già molto aumentato il suo peso politico, e che quindi i suoi progetti di sportswashing stiano procedendo bene. Da quest’anno l’AFC Champions League Elite, principale competizione asiatica per club, è stata riformata, è stato ridotto il numero delle squadre e i turni dai quarti di finale in poi non si giocano più su andata e ritorno, ma con partite secche tutte nella stessa sede: per questa e la prossima stagione è stata scelta Gedda, una città saudita, appunto.

I miglioramenti delle squadre saudite si sono visti proprio in campo internazionale. Le tre squadre partecipanti alla Champions League 2024-2025 sono arrivate prima, seconda e terza nel girone Ovest (nella prima fase ci sono due gironi da 12, uno con le squadre dell’Ovest dell’Asia e uno con quelle dell’Est). Tutte e tre, Al-Hilal, Al-Nassr e Al-Ahli, hanno raggiunto le semifinali, che si sono giocate appunto in Arabia Saudita; i giapponesi del Kawasaki Frontale hanno impedito che si giocasse una finale tutta araba, battendo per 3-2 in semifinale l’Al-Nassr di Pioli e Ronaldo. Poi però l’Al-Ahli ha vinto la coppa per la prima volta nella sua storia, battendo 2-0 in finale il Kawasaki con i gol del brasiliano Wenderson Galeno e dell’ex centrocampista del Milan Franck Kessié, entrambi su assist dell’ex attaccante del Liverpool Roberto Firmino.

Non era la prima volta che una squadra saudita vinceva la Champions League asiatica, anzi dopo Corea del Sud e Giappone è il paese che ha vinto più coppe (7, con 3 squadre diverse, tutte di proprietà del fondo sovrano). Avere però 3 squadre su 4 in semifinale e giocare in casa tutta la fase finale dimostra che, perlomeno in Asia, il calcio saudita sta continuando a crescere e a far crescere la sua influenza.