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  • Mercoledì 11 giugno 2025

C’è stato il primo suicidio assistito in Italia regolato da una legge regionale

Quella approvata dalla Toscana, che il mese scorso è stata impugnata dal governo di Giorgia Meloni

Il deposito delle firme per la legge regionale "Liberi Subito" nella regione Lombardia (Associazione Luca Coscioni)
Il deposito delle firme per la legge regionale "Liberi Subito" nella regione Lombardia (Associazione Luca Coscioni)
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In Toscana un uomo di 64 anni affetto dal morbo di Parkinson in stadio avanzato è morto ricorrendo alla pratica del suicidio assistito, regolato dalla prima legge regionale italiana su questo tema (una legge nazionale non è mai stata approvata). Il suicidio assistito, o morte assistita, è la pratica con cui a determinate condizioni ci si autosomministra un farmaco per morire e in Italia è legale dal 2019 grazie a una sentenza della Corte costituzionale. Le modalità con cui si può accedere alla pratica però non sono mai state regolamentate con una legge dello Stato, e lo scorso febbraio la Toscana aveva approvato una legge per farlo.

A maggio il governo di Giorgia Meloni aveva impugnato quella legge, con un ricorso alla Corte costituzionale, che dovrà quindi esprimersi al riguardo (la legge regionale nel frattempo resta in vigore). I partiti di destra al governo, come tradizionalmente i partiti più conservatori (ma non solo), sono solitamente contrari alla libertà di scelta sul cosiddetto “fine vita”, come viene chiamato il periodo che precede la morte e l’insieme di scelte personali che la riguardano.

In generale i governi di ogni parte politica che si sono susseguiti in Italia dal 2019, cioè da quando il suicidio assistito è legale, non hanno mai fatto approvare una legge sul tema nonostante molte sollecitazioni da parte della Corte costituzionale.

L’uomo morto in Toscana si chiamava Daniele Pieroni, era uno scrittore e un musicista e per via della sua malattia, irreversibile, viveva con una gastrostomia endoscopica percutanea (PEG) in funzione per 21 ore al giorno: la PEG è una sonda usata per alimentare artificialmente una persona che non può farlo in maniera autonoma.

Le sue condizioni rientravano nei requisiti di accesso al suicidio assistito per come sono stati stabiliti dalla sentenza della Corte costituzionale che nel 2019 ha reso legale questa pratica. In particolare il fatto che Pieroni fosse obbligato all’utilizzo della PEG, cioè che nel suo caso sussistesse il requisito del cosiddetto “trattamento di sostegno vitale”: era tenuto in vita da trattamenti in assenza dei quali sarebbe morto. È un punto importante per capire la riuscita del suo caso: dei quattro requisiti previsti dalla sentenza della Corte costituzionale del 2019, questo è il più complesso e discusso.

La sentenza prevede che chi fa richiesta di accesso alla morte assistita debba saper prendere decisioni libere e consapevoli, essere affetto o affetta da una patologia irreversibile, patologia che deve essere fonte di sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili, e poi, appunto, deve essere tenuto o tenuta in vita da «trattamenti di sostegno vitale». È una definizione che la Corte ha inizialmente lasciato vaga e che in Italia finora è sempre stata interpretata in senso restrittivo, come nel caso di respiratori o alimentatori artificiali (proprio come nel caso di Pieroni, appunto). In realtà successive sentenze, anche della stessa Corte, hanno fatto rientrare in questa definizione anche terapie farmacologiche senza cui il paziente morirebbe, o anche alcune operazioni compiute da sanitari o caregiver, come l’evacuazione manuale dell’intestino o l’inserimento di cateteri urinari.

Pieroni è morto a Siena lo scorso 17 maggio: la sua morte è stata resa nota oggi dall’associazione Luca Coscioni, che si occupa da anni di diritti sul fine vita, ha promosso l’approvazione della legge regionale in Toscana e a cui lo stesso Pieroni si era rivolto per chiedere assistenza a morire nel modo in cui aveva scelto di farlo.

Pieroni aveva chiesto di ricorrere alla morte assistita alla propria azienda sanitaria di riferimento ad agosto del 2023, quando ancora in Toscana non era stata approvata la legge regionale. Come in vari altri casi, data l’assenza di una legge che stabilisse tempi e requisiti di accesso alla pratica, la sua richiesta è rimasta in stallo per molto tempo, circa un anno e mezzo.

La situazione si è sbloccata proprio con l’approvazione della legge, l’11 febbraio: sul suo caso sono state fatte le verifiche necessarie e previste dalla legge, e poco più di due mesi dopo, il 22 aprile del 2025, Pieroni ha ricevuto l’autorizzazione. La legge regionale della Toscana prevede un massimo di 37 giorni da quando la persona fa richiesta di accesso alla morte assistita a quando riceve una risposta. Nel caso di Pieroni ci sono voluti 70 giorni dall’approvazione della legge in poi: più del tempo previsto dalla legge, quindi, ma comunque ampiamente meno del tempo che ci è voluto per varie persone che avevano fatto richiesta di accesso alla morte assistita senza una legge (in quei casi i tempi hanno raggiunto anche i due anni, e a volte la persona è morta prima di potervi ricorrere).

Pieroni ha scelto di morire a casa propria (si può scegliere di ricorrere alla morte assistita sia in una struttura sanitaria che a casa), circondato da alcuni familiari, il suo fiduciario, due mediche e un medico dell’azienda sanitaria di riferimento, e Felicetta Maltese, attivista toscana dell’associazione Luca Coscioni attualmente al centro di un procedimento legale per un atto di disobbedienza civile, sempre per chiedere più libertà di scelta sul fine vita. Pieroni ha attivato il dispositivo con cui si è somministrato il farmaco letale alle 16:47, ed è morto tre minuti dopo.

Il governo è contrario alla legge della Toscana perché sostiene che su questa questione sia lo Stato a dover decidere (anche se finora ha sempre evitato di farlo): per ora nessun esponente di governo ha commentato la notizia della morte di Pieroni.

Nel frattempo ieri Meloni e alcuni suoi alleati di governo si sono riuniti proprio con l’obiettivo di discutere la possibilità di presentare una proposta di legge sul fine vita. Non si sa molto sulle intenzioni concrete, ma al termine della riunione il vicepresidente del Consiglio (e ministro degli Esteri) Antonio Tajani ha detto che la legge valorizzerà molto i percorsi di cure palliative: sono i percorsi terapeutici (sia farmacologici che non) che hanno l’obiettivo di migliorare il più possibile la qualità della vita fino al momento in cui si muore, e vengono spesso contrapposte come alternativa preferibile al suicidio assistito da chi è contrario a questa pratica.